mercoledì 4 novembre 2015

Un suono fastidioso.


Un suono fastidioso e squillante entra, indesiderato e violento, nelle mie orecchie.
Non è più la dolce melodia che mi era sembrata la sera prima, quando l’avevo scelta tra quelle disponibili sul mio cellulare.
È incredibile quanto l’umore o la situazione possano farti cambiare radicalmente idea sulle cose, e il mio in questo momento non è particolarmente amichevole.
Apro faticosamente un occhio.
La palpebra pesa come se le ciglia fossero incollate alla pelle.
La mia stanza è avvolta nella semioscurità: dalle tende filtra un timido raggio di sole, insufficiente ad illuminare completamente l’ambiente.
Non è possibile che sia già mattina con questo buio, penso.
Chiudo l’occhio.
La mia mano emerge dagli strati di coperte e cerca, a tentoni, la fonte di quel rumore infernale.
Il legno freddo del comodino è liscio sotto le dita e non incontro ostacoli, finché non rischio di far cadere la lampada, mentre, alla cieca, cerco il cellulare che proprio non vuole smettere di suonare.
Sono le 7:30.
Spengo la sveglia e decido che posso stare a letto ancora altri cinque minuti.
“Non devo riaddormentarmi. Non devo riaddormentarmi.” È il ritornello che risuona nella mia testa, come l’eco della sveglia nelle orecchie.
Intanto penso anche a tutte le cose che dovrò fare quando mi alzerò dal letto.
La realtà si confonde con il sogno: a un certo punto non so più se sono sveglia o se mi sono addormentata.
Temo che i cinque minuti siano passati da un pezzo, cerco di aprire gli occhi, ma sono talmente impastati, che sembra che qualcuno mi abbia incollato le palpebre con il cemento armato.
Quando, finalmente, dopo enormi fatiche, riesco a riaprire gli occhi, sono le 8:30.
Panico totale.
Sono in ritardo.

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